Non si uccide la verità uccidendo i giornalisti!

Foto: Alex Noppel Briseño - Colectivo 43

Considerazioni riguardanti la morte del giornalista messicano Javier Valdez Cárdenas

Berlino, Germania, giovedì 18 maggio 2017

In Messico è diventato facile uccidere, ormai è diventata un’abitudine prendere un’arma da fuoco o un’arma bianca e zittire le differenze, zittire le voci che denunciano, che non sono d’accordo, che criticano il sistema politico e che vogliono un cambiamento.

In Messico, prima di scegliere il dialogo, il “narco-governo” e alcune persone che si muovono dietro alla protezione dell’anonimato, uccidono a pagamento e uccidono impunemente i loro simili semplicemente perché è possibile ed è facile farlo, dal momento che le autorità sono sottomesse ai cosiddetti “poteri invisibili”.

In Messico, non c’è autorità locale, né statale, né federale che li possa fermare, perché queste autorità sono parte di quello stesso sistema che ha permesso all’impunità di permearlo fin nel profondo e che ha permesso che la giustizia in Messico oggi sia solo un’utopia.

¡Attenzione!

In Messico ci stanno uccidendo.
In Messico vengono uccisi indiscriminatamente bambini, donne, famiglie intere, madri che cercano i loro figli sotto le pietre, in fosse clandestine. Stanno uccidendo attivisti e giornalisti. Stano uccidendo e facendo scomparire studenti, uomini e donne che si sono trovati nel luogo e nel momento sbagliato.

¡Attenzione!

In Messico ci stanno uccidendo!
E oggi siamo qui davanti alla porta di Brandeburgo perché lo scorso 15 maggio in Messico, nella città di Culiacán, è stato assassinato il giornalista e scrittore Javier Valdez Cárdenas, corrispondente del giornale La Jornada e fondatore della rivista indipendente “Río Doce” .

Nelle sue conferenze e interviste Javier Valdez ha più volte denunciato che gli uomini e le donne che svolgono seriamente la professione di giornalista sono sempre più soli dal momento che in Messico è diventato pericoloso anche solo l’essere vivi. Che in Messico ci si muove su un piano tagliente e pieno di esplosivi e che si vergognava profondamente di quella realtà.

Mentre usciva della sede di Río Doce, Javier Valdez Cárdenas è stato raggiunto dai colpi di un’arma da fuoco. Oggi il suo nome si aggiunge alla lista di giornalisti assassinati in Messico.

Soltanto nel 2017 sono morti Cecilio Pineda, di Guerrero; Ricardo Monlui, di Veracruz; Filiberto Álvarez, di Morelos; Maximinio Rodríguez, di Baja California Sur; e Miroslava Breach, di Chihuahua. In altre parole in Messico muore un giornalista ogni 22 giorni.

Javier Valdez era conosciuto perché raccontava le atrocità commesse dall’impero del narcotraffico nello stato di Sinaloa e in tutto il Messico; perché ha svelato le connessioni che esistono tra quell’impero e il governo, ha rivelato le infiltrazioni del narcotraffico all’interno dei mass media e ha fatto vedere chiaramente come la violenza del narcotraffico si sia propagata in tutto il Paese.

In Messico dall’inizio della cosiddetta “Guerra contro il Narcotraffico” voluta dall’ex Presidente Felipe Calderon, sono morti 80 giornalisti, 32 dei quali sono morti durante l’attuale presidenza di Enrique Peña Nieto. Il livello di impunità dei reati raggiunge ormai il 99.7%. L’organizzazione “Reporteros sin Fronteras” avverte che il Messico è il terzo paese più pericoloso a livello mondiale per chi si occupa di giornalismo e chi esercita la libertà di parola.

Nonostante in Messico esista un’autorità giudiziaria specifica per la lotta ai crimini contro la libertà di espressione, gli omicidi dei giornalisti rimangono impuniti. Le autorità non identificano le cause degli omicidi e non si sa quando essi sono legati alle inchieste realizzate dai giornalisti stessi. Nonostante questa autorità abbia un registro delle minacce, dei rapimenti, delle torture, degli assalti e degli altri delitti contro uomini e donne giornalisti, non si riesce a garantire il rispetto della legge. E intanto la categoria dei giornalisti è sempre più isolata proprio come aveva predetto Javier. E perché rimane sempre più isolata? Perche ci stiamo abituando alla morte, perché la società ormai non si fida più di nessuno e la violenza in Messico sta diventando una normalità.

Per contro mentre gli imprenditori dei mezzi di comunicazione si arricchiscono sempre di più con il lavoro dei giornalisti e con la pubblicità governativa, non esitano a violare i diritti dei lavoratori: i giornalisti vengono sottopagati, non viene loro garantita un’assicurazione sulla vita, né vengono formati per affrontare situazioni di grande rischio.

Foto: Alex Noppel Briseño – Colectivo 43

Purtroppo un’altra volta la morte ci chiama e ci costringe ad alzare la voce.

Dalla Germania sosteniamo i compagni e le compagne giornalisti che ieri in Messico hanno dato vita ad uno sciopero di tutti i mezzi di comunicazione, quelli che hanno deciso di pubblicare pagine completamente nere e listate a lutto, e anche a quelli che hanno deciso di protestare continuando a lavorare.

Noi gridiamo insieme a voi:
Non sparate alla Stampa!
Mai più nessun omicidio!
No al silenzio!
Non si uccide la verità uccidendo i giornalisti!
Ci stanno uccidendo!

(Traduzione: Vicky Nunez e Michele Seggiaro)

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