Archive for Luglio, 2012

Manzanero, il portavoce dell’amore

Un eterno innamorato, un poeta pazzo, un portavoce del romanticismo, uno che all’amore ha rubato la sostanza e l’ha trasformata in canzone, questo è Armando Manzanero. Il 74 enne compositore messicano famoso per aver scritto “somos novios”, è considerato un riferimento della composizione romantica a livello mondiale. Per onorare la sua lunga carriera e il contributo al mondo della musica al quale ha regalato più di 400 canzoni, la Società Americana di Compositori, Autori ed Editori (ASCAP) ha consegnato ieri, 23 marzo a Los Angeles, il premio all’Eredità Ispanica in occasione dell’ottava edizione della manifestazione.

Il Piccolo gigante messicano, oltre a fare cantare grandi cantanti ispanici, ha fatto interpretare brani in spagnolo anche a giganti italiani quali Mina e Andrea Bocelli. Apprezzato anche in Brasile, basti ricordare l’ultima apparizione in pubblico con la commovente interpretazione di “me deixas loca” della più grande cantante brasiliana Elis Regina. Manzanero inoltre ha visto i miti della musica americana quali, ad esempio, Frank Sinatra, Tony Bennett, Elvis Presley, interpretare adattamenti delle sue opere.

Alla cerimonia dell’ASCAP, il cantautore ha voluto trasmettere e condividere con gli altri autori presenti, il suo vero e grande amore: la musica, dichiarando che “si deve continuare a fare musica, scrivendo canzoni, perché questa, è l’unica lingua che tutto il mondo capisce”. Tra le sue più grandi creazioni, si rilevano: “Adoro”, “Te extraño”, “Contigo aprendí”, “Nada personal”, “No sé tú” e “Esta tarde vi llover”. Il “maestro”, oltre al suo contributo creativo, dal 1982 lavora per i diritti dei compositori del Messico vestendo la carica di vicepresidente dell’Associazione Nazionale Autori e Compositori.

Noi e i barbari

Pizzaro e Cortés, i conquistatori, se dal loro un punto di vista possono avere trovato dei barbari nelle terre conquistate dal punto di vista delle popolazione native possono essere stati loro dei barbari per il modo in cui li hanno posseduto. Due grandi civiltà “straniere” l’Azteca e l’Inca distrutte e sottomesse da conquistatori “stranieri” provenienti della civiltà. In questa ottica, il ciclo di incontri “Noi e i barbari”, con la collaborazione delle Raccolte Extraeuropee della Sezione Civica del Castello Sforzesco e il Comune di Milano, gli scorsi 26 ottobre e 10 novembre ha dedicato due pomeriggi all’America Latina. Negli appuntamenti, con i titoli: l’incontro: Cortés e la conquista del Messico e Pizzarro e la conquista del Perù, Davide Domenici dell’Università di Bologna e Carolina Orsini dei Musei Civici di Milano, hanno affrontato l’argomento più sofferto e più catartico della storia dei popoli latinoamericani: la mescolanza dei popoli. Un tema che abbinato all’intero ciclo, risulta una riflessione sui barbari, visti dal punto di vista del loro – noi.

Particolarmente importante, invece in questo contesto, risulta la donna indigena di Cortés: Malintzin, Malinche o Doña Marina. Associata sia come madre del popolo meticcio messicano sia come principale traditrice indigena. Infatti oggi alla coppia Cortés-Malinche si evoca l’origine dei: meticci e creoli. A Pizzarro, fondatore di Lima, invece li si potrebbe attribuire la forte presenza di “schiavi” provenienti dall’Africa per avere la mano d’opera necessaria a Lima.

La Madonna di Guadalupe e il Senor de los Milagros, risultano fondamentali per la conquista ideologica perche, essendo divinità cristiane, hanno conservato forti legami con i simboli adorati dai popoli indigeni. L’origine del sincretismo dei popoli in America.

México lindo y querido

Ieri sera a Latinoamericando expo si sono inaugurate le giornate dedicate al Messico. Cinque giorni, in cui diversi artisti messicani residenti in Italia presenteranno il suo arte e il suo modo di crearlo, serate in cui l’ambiente sarà rallegrato con la famosa musica messicana, momenti in cui si potranno apprezzare le bontà che il Messico offre al mondo, grazie ai dvd spiegativi.

In Messico le cerimonie, soprattutto quelle che riguardano i simboli patri o la patria in sé, sono sempre molto solenni. Una serietà che non significa pesantezza, bensì un profondo rispetto. Infatti, non esiste messicano che non ami profondamente la sua terra, in tante nazioni si può trovare questo amore patrio, ma nei messicani diventa quasi una malattia chiamata orgoglio messicano. La neo arrivata Console del Messico, Alejandra Bologna ha scelto la platea del Padiglione delle nazioni di Latinoamericando per presentarsi nel suo primo atto ufficiale alla comunità messicana. La Console ha ringraziato i suoi paesani per la loro presenza viva e significativa in Italia, e nel suo messaggio ha invitato a preservare e trasmettere le radici messicane ai loro figli inseguito la dott.ssa Bologna ha inaugurato e presentato le attività previste in queste giornate.

A cornice della presentazione le pareti del Padiglioni allestite con le opere degli artisti proposti: le decorazioni di Jose Luis Martinez Silva, con crocifissi in legno, cuori colorati con la corona di spine e la “Santisima Trinidad” con le ali, elementi religiosi frequenti in Messico, che risultano di gran innovazione in Europa; Sergio Corral firmato Sahk con alternanze di arte plastica e pittura propone opere che includono: biglietti della metropolitana di Milano, immagini del santo, scritte illeggibili o frasi riconoscibili nel “mondo latino” quali “las palabras son de aire y van al aire” un modo di interagire e introdurre lo spettatore nel suo arte; David Beuchot, nei suoi quadri rispecchia l’influenza europea con allusioni tipiche messicane: un collage d’immagini, tra colonne romane e figure archeologiche messicane, figure rinascimentali con nomi quali Lady Macheth; Maria Teresa Gonzalez Ramirez ha presentato un anteprima di una esposizione intitolata: Nella Tana del ferro e del colore. Una mostra che ha come obbiettivo portare lo spettatore alle origini del proprio arte, attraverso un viaggio introspettivo. La Luce è l’elemento centrale in questa mostra di Gonzalez Ramirez. Ricardo Macias con le sue ceramiche di forme particolari, con dei colori tenui ha fatto incuriosire i presenti, soprattutto i bambini che insieme a lui hanno partecipato alla dimostrazione delle sue creazioni.

Eugenia Ríos Santa Cruz, responsabile culturale del consolato generale de Messico per rompere il ghiaccio, ha presentato Claudia Perez, cantante messicana residente a Florencia, che indossava un autentico huipil della zona dello Yucatan. “I tequila” (ed scusate ma in Messico non può essere che una bevanda al maschile) hanno cominciato a girare, i piatti tipici offerti dal Cosolato hanno riempito i piatti di tutti i presenti: l’autentico guacamole, frijoles refritos, vera salsa picante messicana e dei tacos de canasta, hanno fatto rivivere i sapori e gli odori del Messico.

Anche se il palco di Latinoamericando Expo, quest’anno non ha presentato cantanti messicani, ieri sera, grazie alla stupenda voce di Claudia Perez, si sono fatti presenti: i Tigres del Norte, Jose Alfredo Jimenez e perfino Selena, lasciando aperta la pista di ballo. Tutti i presenti allegremente hanno cominciato a ballare e cantare facendo diventare il Padiglione delle Nazioni una vera festa, come è normale che accada quando si riuniscono i messicani. Vi invitiamo a passare al Padiglione delle Nazione queste ultime serate di Latinoamericando Expo, per godere di Mexico, lindo y querido.

Las Rancheras

Parlare di “rancheras” è parlare dei “Mariachi”, di “Cantinas”, di “Revolución”, di sentimento, d’amore e ovviamente del Messico. Chi non conosce il “Cielito Lindo” o il “Rey” di José Alfredo Jimínez? E’ difficile che un latinoamericano non ricordi Pedro Infante o non conosca Vicente Fernandez, i più popolari interpreti di questo genere musicale. Mondialmente conosciuta è la colonna sonora del film Frida con le interpreti femminili di rancheras Chavela Vargas e Lila Downs.

Andiamo per punti: la “ranchera” è uno dei più, se non il più, rappresentativo genere musicale messicano; normalmente, anche se può bastare una chitarra, viene accompagnato dai “Mariachi”, un gruppo di musicisti, vestiti da “charro” (abito ricamato e sombrero). Questo genere musicale si è diffuso nel periodo post-rivoluzionario, principalmente nelle “cantinas” e grazie al cinema. Anche se la maggior parte degli interpreti sono uomini, attualmente ci sono tantissime donne che interpretano canzoni accompagnate da strumenti base dei Mariachi, quali il violino, la tromba, la chitarra spagnola, la vihuela e il “guitarron”. Lila Down, considerata erede di Chavela Vargas, attualmente interpreta i più grandi successi della musica ranchera, con dei nuovi e moderni arrangiamenti.

I cantanti professionisti di questo genere hanno sviluppato uno stile estremamente emozionale, infatti questa caratteristica è molto premiata dal pubblico anche se, oltre al sentimento, c’è la tecnica di riuscire a sostenere lungamente la nota alla fine delle strofe e culminare in un finale fuso con la nota precedente. Ciò non è da tutti, un esempio lo si può apprezzare nella voce dell’amatissimo Vicente Fernandez “El Charro de México” che, non a caso, è stato onorato lo scorso 31 gennaio con un Grammy, per la sua lunga carriera come interprete per questo genere. Gli argomenti trattati nelle rancheras, accompagnati di solito da un bicchiere di tequila, comunemente sono rapportati all’amore anche se questo genere è nato raccontando delle storie popolari, della vita contadina e della rivoluzione messicana. I “Mariachi” icona standard dello stile “messicano” trovano musicisti di questo genere sparsi nel mondo in paesi quali il Giappone, Croazia, Italia, Germania e Spagna.

La niña blanca

… ormai ci conosciamo, siamo vecchi amici. Siamo stati insieme alla fine di altre vite, e anche se è così, so che hai paura di me. Non ti preoccupare, non posso fare niente di mia iniziativa, finché il gran maestro non me lo indica. Non dimenticare che da quando nasci cominci a morire, piano piano il nostro appuntamento avrà luogo …

In Italia, come in tante altre parti al mondo, parlare di morte porta sfortuna, è brutto, è triste. In Messico, la rappresentazione e la rimembranza della morte è una abitudine; nell’arte, nell’artigianato, nella letteratura, nel modo di scherzare, insomma, fa parte della cultura messicana. Il culto alla Santa Morte invece è una pratica effettuata solo da alcuni messicani e negli ultimi giorni ha originato diverse polemiche.

Le origini del culto alla Santa Morte vengono legate al sincretismo tra il culto alla morte preispanico precolombiano, ad alcuni riti africani e al cattolicesimo. Ai visitatori del Messico risulta strano trovare altari con l’immagine o la statuina di questa “Santa”. Sorprende ancora di più che questa venerazione conviva tranquillamente con altri santi, ovvero la si trovi vicino alla statuina di Gesù, della vergine di Guadalupe o di San Giuda Taddeo.

La Santa Morte è rappresentata con la faccia scheletrica avvolta in un mantello, con la falce in pugno, una bilancia e/o un globo terrestre in mano. L’immagine della morte si ritrova spesso in Messico, ed è frequente nell’arte contemporanea messicana. La “Calavera” (teschio) è stata la musa ispiratrice di artisti quali Diego Rivera, Frida Kalho, David Alfaro Siqueiros, Josè Guadalupe Posadas, per nominarne alcuni.

“La morte è giusta ed equa con tutti perché tutti dobbiamo morire”. Questa è l’idea principale della personalità che si attribuisce alla “Santìsima”. Il impatto che si ha con la “Santa Muerte” e con il culto in generale è sincero e familiare, diverso dall’abituale timore che si ritrova nei riti religiosi. Secondo i fedeli, “la niña blanca” è molto buona, un angelo dotato di estremi poteri, c’è la convinzione che doni la protezione più potente in assoluto, proprio per questo sembrerebbe che, i più votati ad essa, siano appunto i delinquenti o, comunque, persone che conducono una vita pericolosa.

Negli ultimi giorni, si sono scatenate una serie di manifestazioni in difesa al culto della “Flaca” dopo che le autorità municipali e federali di Nuevo Laredo hanno distrutto 36 santuari dedicati alla “Santa Morte”, giustificando l’atto perché considerati “luoghi di culto dei Narcos” (gruppi mafiosi e narcotrafficanti in Messico).

Le autorità ed alcuni fedeli cristiano-cattolici, non vedono di buon occhio i seguaci della “Santa Morte” che ritengono essere fedeli di serie B, ma devono fare i conti con la Costituzione messicana che garantisce a tutti la libertà di culto. L’autodefinito vescovo David Romo Guillèn, massimo dirigente della “Chiesa Catolica Tradizionale Messico-USA”, durante le manifestazioni ha difeso il culto dichiarando che tanti “narcos” sono “guadalupanos”, facendo riferimento alla Madona di Guadalupe, uno dei massimi simboli d’identificazione nazionale, dichiarata regina del Messico ed imperatrice dal Papa Juan Pablo II.

Le manifestazioni proseguiranno e ci saranno tante altre persone che si opporranno al culto alla Santa Morte, ma in Messico, per la festa dei defunti, le famiglie continueranno a comprare il pane dei morti, i bambini mangeranno le sue “calaverita” (teschi) di zucchero o di cioccolato e si giocherà sempre alla lotteria chiamando la morte in modo scherzoso. Percé è l’unica cosa sicura.

L’urlo liberatorio

In questo mese c’è una festa molto importante per il popolo latinoamericano. La Bolivia ha inaugurato lo scorso 16 luglio i festeggiamenti dei bicentenari in America Latina, questa volta il protagonista è l’Ecuador e la commemorazione del loro primo urlo d’indipendenza che celebra il suo bicentenario il prossimo 10 luglio.

Un urlo è uno sfogo, è una voce emessa con l’impulso di una reazione istintiva o di un risoluto proposito di azione. Quando si contengono dei sentimenti per tanto tempo repressi, è un urlo a liberare l’anima e lo spirito. E’ una toma di coscienza che può permettere la riflessione e l’azione. E’ per questo motivo che nella maggior parte dei paesi dell’America Latina viene considerato il giorno d’indipendenza, il momento il cui il “urlo” fu emesso.

Agli inizi del secolo XIX in Ecuador, i patrioti Juan Pío Montúfar e il Dott. Francisco Eugenio de Santa Cruz y Espejo pianificarono movimenti che si sono conclusi il 9 de agosto de 1809, quando in casa de doña Manuela Cañizares, la Giunta Sovrana di Quito si riunii. Il 10 agosto di 1809, il presidente dell’udienza riceve un documento che informava la sua rimozione del carico, motivo per il quale doveva abbandonare il luogo, allo stesso tempo che si proclamava l’indipendenza di diversi territori di Quito. I patrioti ecuadoriani fecero realtà i loro diritti di libertà, che conformavano il sogno di tutti i paesi sottomessi. Fu cosi che riuscirono ad occupare Quito e a instaurare un governo che durò soltanto 24 giorni, il tempo che gli spagnoli impiegarono per prendere il controllo della città. L’indipendenza fu raggiunta grazie a Simón Bolívar nel 1820.

Il 16 luglio di 1809 in Bolivia, Pedro Domingo Murillo portò ad una rivolta di creoli e meticci. Questa rivolta ebbe inizio a La Paz e portò alla proclamazione di uno stato indipendente nell’Alto Perù. La Bolivia però divenne una repubblica autonoma soltanto il 6 agosto di 1825, 16 anni dopo la proclamazione dell’indipendenza di Murillo, e prese il nome dal suo fondatore, Simón Bolívar.

Questa settimana a Latinoamericando Expo, festeggiamo l’indipendenza di queste due Nazioni. Giovedi 6 agosto la Bolivia e lunedì 10 agosto il bicentenario della proclamazione dell’urlo di indipendenza dell’Ecuador. Tutti due giorni non è vietato urlare l’orgoglio di essere liberi.

Festeggiare il 12 ottobre?

La storia universale ha decretato il 12 ottobre del 1492 come il giorno in cui l’equipaggio al comando di Cristoforo Colombo intravide quello che posteriormente venne denominato America. Per tanti anni quella data è stata festeggiata o pressa in considerazione come giorno festivo in Spagna e in diversi paesi dell’America Latina, dimenticando tante volte, che a partire da quel momento si cominciò la distruzione di grandi culture e che i popoli originari sono stati privati dei suoi territori, credenze e forme di organizzazione sociale.

Gli indigeni dell’America hanno pagato, e ancora pagano, il prezzo per l’ignoranza geografica di Colombo nella sua spedizione alla ricerca di una via per arrivare alle “Indias” dall’Europa. L’arrivo del navigatore genovese ha segnato l’inizio di un periodo d’imposizione linguistica e culturale in America. Da qualche anno nel continente Americano ci si chiede: cosa c’è di festeggiare? I più radicali hanno dichiarato: “non c’è niente da festeggiare”, come direbbe la famosa canzone dei Fabulosos Cadillacs. In quest’ottica in diversi paesi dell’America latina, o anche in posti dove c’è una presenza importante di latinoamericani, si possono osservare delle manifestazioni di rifiuto o, in qualche modo, contrarie al festeggiamento di tale data. Nonostante ciò in Spagna, da qualche anno si è festeggia il giorno della Ispanità con la presenza di circa 60.000 persone di 11 nazionalità differenti a Madrid.

Sebbene l’essere meticci e il sincretismo accaduto possono considerarsi come parti fondanti dell’identità degli attuali popoli in America, certo non può neanche essere dimenticato il massacro e le ingiustizie subite da una delle parti.

San Patrizio con Downs, Tigres, Vargas e Chieftains

Pochi sanno della storia di un battaglione d’immigranti irlandesi che disertò le file statunitensi per allearsi con quelle messicane durante la Guerra Messico-Statunitense del 1846-1848. Nel 2010 The Chieftains e Ry Cooder hanno presentato il disco “San Patricio“, che racconta attraverso la musica la storia di questo coraggioso battaglione. Il colore verde e i trifogli invadono le città europee il 17 marzo, festa di San Patricio, patrono dell’Irlanda.

Fuori l’Irlanda i promotori della festa sono ovviamente, gli Irish Pub, che per festeggiare alla grande la propria nazione, regalano ai loro clienti birra irlandese e altri souvenir. Le celebrazioni sono generalmente incentrate su tutto ciò che ha a che fare con l’Irlanda e il verde (colore simbolo dell’isola). Nel disco “San Patricio” i ritmi tipici messicani si mescolano fraternamente a quelli irlandesi in un lavoro che riunisce i Chieftains e alcuni artisti messicani quali Lila Downs, Los Tigres del Norte e Chavela Vargas. Il disco di 19 brani è stato registrato tra New York, San Francisco, Los Angeles e Città del Messico ed è stato coprodotto da Cooder, conosciuto per il suo lavoro per i Buena Vista Social Club. Oltre alla collaborazione della Vargas e della Down sono da sottolineare l’intervento di Linda Ronstadt, Los Folkloristas e Los Cenzontles. La mescolanza di culture è evidenziata dal “son jarocho” (tipica musica della zona dello stato del Veracruz, Messico) “La iguana”, interpretata dalla messico-americana Lila Downs, nella quale le cornamusa e l’arpa si abbinano in un ritmo festivo.

In Messico è stato soltanto nel 1997, durante la celebrazione 150mo anniversario della Guerra Messico-Statunitense, che il governo messicano ha invitato l’Irlanda a celebrare il contributo dei soldati chiamati “San Patricio”. Nello stesso anno si è formatoa anche “la Banda de Gaitas del Batallón San Patricio”, che nel disco di The Chieftains suona il brano “Al otro lado del Río Bravo”, ideata dal leader di The Chieftains, Paddy Moloney, e raccontata dall’attore irlandese Liam Neeson. Cooder ha spiegato che anche se la musica “norteña” (genere musicale messicano tipico delle città a nord), durante quella guerra, non esisteva ancora, questo album le include perché “l’idea non è stata fare un libro di storia, bensì un bel disco”. Per unirci ai festeggiamenti irlandesi e rimanere sempre in Messico vi invito a sentire “San Patricio” dei Chiesftains.

(Correzioni Gaia Farina)