Archive for Aprile, 2017

La scoperta della Lo

A volte mi chiedo: perché me ne sono andata via dal Messico tanti anni fa? Cosa si ottiene vivendo lontano dalle proprie abitudini e da quello che si conosce? Che si può fare davanti all’insicurezza del futuro o del lavoro? Qual è la direzione giusta? Cosa voglio fare da grande? Si può trovare una risposta a queste domande?

La notte che ho conosciuto Lorena era la prima volta che entravo in un Centro Sociale in Italia. Io, come immigrata, ero andata a vedere e sostenere il concerto di una band interculturale, ovvero un gruppo musicale nato in Italia ma con membri immigrati. Quella sera è stata anche la prima volta che ho riflettuto sul fatto che si può essere migrante nel proprio Paese, ovvero che anche vivendo nel proprio paese d’origine ci si può sentire estraneo, perso e non appartenente al luogo dove si è nati. Conoscere Lorena è stato confermare che il dover mettersi in gioco e reinventarsi costantemente è un comune denominatore delle generazioni di oggi, e che su questo aspetto immigrati e nativi “siamo tutti nella stessa barca”

Roma

In quei tempi non conoscevo l’ambiente dei Centri Sociali e quello in cui mi trovavo era uno dei più conosciuti di Roma. Era un luogo scuro e allo stesso tempo colorato, un po’ disordinato e trasgressivo. Riconosco che all’inizio mi sono sentita un po’ inibita, ma mi sono adattata subito: tutto era rilassato, lontano dalle imposizioni. Un luogo autogestito e con un’ampia proposta creativa, cioè un luogo di quelli che vengono definiti come alternativi. Un contesto che si abbinava molto bene alla personalità di Lorena.

Io ero con degli amici che in mezzo alla folla cercavano altri amici e così, fra la musica, i graffiti, le mostre di artigianato e un paio di birre, mi sono ritrovata coinvolta in una calda conversazione con la Lo, come la chiamano gli amici.

– “Io sono nata di una zona del Piemonte, ma non sono piemontese doc” – ha detto la Lo, facendo riferimento ai vini e facendo sì che io entrassi in confusione. Quell’affermazione era molto strana per me. Io mi presentavo e mi presento sempre come messicana e non parlo mai delle origini dei miei nonni. – “Sono un mix di diverse culture: mia nonna è sarda e il mio nonno è veneto, entrambi si sono conosciuti a Mongrando. Sono il prodotto di due regioni molto distanti dal punto di vista geografico, che si sono unite nel nord occidentale italiano ” – raccontava la Lo con una forte cadenza piemontese aggiungendo che I suoi, ai tempi, erano stati discriminati.

– “I miei nonni hanno lasciato negli anni 50 la propria terra, emigrando in Piemonte, dove l’industria tessile ha avuto un grande sviluppo e grazie alla quale l’Italia è conosciuta a livello internazionale. La zona dove sono nata è stata ed è dipendente dall’ industria tessile non solo a livello economico, ma anche a livello sociale e culturale”- continuava la ragazza piemontese. Io non capivo bene cosa volesse dire con questo, ma lei mi ha spiegato che quasi tutti gli abitanti del suo paese erano impiegati in quella industria, che erano sicuri di avere un lavoro fisso per tutta la vita, che a volte addirittura i lavori passavano di padre in figlio e che chi svolgeva i lavori più impegnativi e specializzati era particolarmente rispettato e considerato.

Io ero sempre più interessata alla conversazione della Lo. Quell’anno era l’ottavo che lei abitava nella capitale italiana. Era partita da Mongrando a 20 anni per studiare Sociologia, spinta dalla curiosità per le questioni sociali. In quel periodo, pero a causa della difficoltà di trovare lavoro remunerato attinente a quello che lei aveva studiato, lavorava nella raccolta di gemme e piante per poi venderle a un’azienda omeopatica. Anche se questa attività non era il massimo per lei, la aiutava a conoscere le piante, i loro principi e le loro qualità e ad essere in contatto con la natura, cosa che lei amava molto.
Io ero sconvolta, le esperienze della Lo erano un po’ lontane da ciò che io ero abituata a sentire da parte di amici o conoscenti che lavoravano in ufficio con orari stabiliti e risultavano veramente noiosi se paragonati con quello che lei faceva.

Mongrando

Sono passati alcuni anni prima che io potessi rivederla. E´stato un caso e una coincidenza che io andassi a un festival di musica reggae a Bornasco, paesino vicino al paese natale della Lo, dove la rincontrai, in un contesto molto simile a quello del centro sociale dove l’avevo conosciuta, questa volta pero’ con la differenza di essere in mezzo al verde . Che sorpresa è stata trovarla lì, che vendeva saponi artigianali fatti da lei, tra il camping, la pizza al trancio, i workshop di musica e danza e un palcoscenico dove si esibivano importanti esponenti di Reggae a livello internazionale.

Finiti i concerti, con il bosco alle nostre spalle e con la notte scura come tetto, la Lo mi raccontò che, stanca dello stress, dell’inquinamento, del traffico di Roma e spinta da un bisogno di avvicinarsi a un contesto più naturale e tranquillo, aveva deciso di tornare nel posto in cui era nata. Mi confessò che, quando aveva scelto di andare a Roma, non era cosciente della bellezza di Mongrando e dei suoi dintorni, o forse sì, ma in quei tempi lei non dava importanza a tutto ciò. E’ stato solo tornando dopo 10 anni da Roma, che è riuscita a scoprire le meraviglie che questo posto le regalava.

Stavo partendo e ripiegando la mia tenda, quando la Lo mi ha invitata a rimanere un paio di giorni ancora per conoscere la sua casa e il suo paese. I posti visitati in quei giorni erano luoghi magnifici : “Il Vallino”, “La Ruta- Graziano”, “San Michele”, “il Castelliere di Mongrando”. I torrenti Viona e Ingagna, isolati dalla civiltà, erano spazi verdi, enigmatici e con interessanti storie. Mongrando a me sembrava molto accogliente e anche se la Lo ripeteva in continuazione che la gente lì era fredda e chiusa, io continuavo a pensare che lei non lo era affatto.

Quanto si emozionava e mi faceva emozionare quando mi raccontava che uscendo di casa trovava frequentemente famiglie di cinghiali o cervi (tipo Bamby!). Spettacoli che le persone che vivono nelle grandi città vedono solo alla tv o nelle foto. Per non parlare dell’orgoglio che trasmetteva quando affermava che l’acqua migliore al mondo, si poteva bere solo lì (ed essendo Mongrando ai piedi delle Alpi, sicuramente aveva ragione).

In quei giorni sono riuscita a conoscerla meglio e a conoscere un po’ il suo paese. Le industrie del nordovest italiano, che per tanti anni erano state motore dell’economia italiana, in quel momento erano crollate. E Mongrando, dove la gente dipendeva in gran parte dall’industria tessile, sia a livello economico sia a livello sociale (dato che le abitudini, i valori e i modi di pensare, erano legati in gran parte a questa economia), è entrata in crisi. I posti fissi non erano più così fissi e questo provocava un panico costante, la paura di perdere il lavoro, oltre che una lotta fra poveri per difendere il poco che si aveva.

“La causa dell´impoverimento della società è l´industria in sé e forse l’allontanarsi dal sistema industriale non porterebbe grossi danni all’ uomo” mi diceva la Lo “ma in un paese come Mongrando è molto difficile cambiare di mentalità’. E’ così difficile cambiare il modo di fare economia e trovare una via alternativa a quella alla quale siamo abituati”, diceva.

Sono passati anni e, anche se le nostre strade sono state sempre separate, ho avuto l´opportunità di condividere con Lorena diversi viaggi e incontri che hanno consolidato la nostra amicizia.

Berlino

E´ stato a Berlino l´ultima volta che l´ho vista. Lorena era venuta a trovarmi per darmi la notizia che nell´autunno prossimo sarebbe diventata mamma. Il Mercatino della Schiller Promenade, che si fa tutti i sabati, famoso e riconosciuto a Berlino per essere visitato da gente che cerca prodotti bio e artigianali, è proprio vicino a casa mia e quel week end sono andata con la Lo vendere i saponi artigianali di sua produzione.

Il modo di parlare morbido ma sicuro, cosi come la sua personalità che è accentuata dalla gestualità, hanno permesso ai clienti di capire quello che lei voleva trasmettere, perché io, nonostante tutta la mia buona volontà, non avevo molto successo con la traduzione. E tra una vendita e l’altra la Lo ha chiarito a me a ai clienti qualsiasi dubbio sugli ingredienti con cui erano fatti i suoi saponi. Quando la gente le chiedeva qualcosa, lei spiegava dettagliatamente le qualità dei prodotti, l´importanza del processo di elaborazione e tutto il lavoro necessario per produrli.

Io che la conoscevo come sociologa ero curiosa di sapere perché aveva deciso di dedicarsi alla produzione dei saponi – “Io non sono andata a cercare i saponi, sono i saponi che mi hanno incontrata”, mi ha risposto quando le ho chiesto e poi ha cominciato a ridere. Io non avrei mai immaginato che dietro alla produzione di sapone si potessero celare non solo le conoscenze necessarie al loro complesso processo di produzione , ma anche una serie di principi e valori forti, dal rispetto dell´ambiente al rifiuto di compromessi sociali e perfino qualche idea politica. Era come se tutto nel suo modo di essere e nelle sue attività rivelasse una grande coerenza.

Allora ho chiesto: “Ma tu fai i tuoi saponi per rispettare i tuoi principi?” Lei si è limitata a dirmi -“A me è sempre piaciuto creare, mi piace lavorare con le mani”- e ha cambiato discorso. Mi ha detto che prima di partire per Roma era una ragazza insicura, ma che, grazie agli stimoli che aveva trovato intorno a sé, è riuscita ad aprirsi, soprattutto con se stessa. “E´stata l’influenza di gente curiosa, positiva, che mi ha aiutata a sentirmi una donna sicura”, mi diceva mentre raccoglieva e metteva via con molta cura i saponi nelle loro scatoline. Poi tutto è sembrato più chiaro, quando mi ha parlato del suo metodo per fare le cose -”La mia metodologia consiste nell’osservare, sperimentare e solo dopo studiare le cose che faccio. Solo così, riesco a capire meglio le cose che decido di fare… Questo vale anche per la creazione dei saponi. Ho osservato delle amiche che sapevano fare i saponi poi ci ho provato, ho sperimentato e solo dopo ho cominciato a studiare in dettaglio quello che c´era dietro al processo di elaborazione e ai vari ingredienti”.

Mentre tornavo dall’aeroporto di Schönefeld dopo averle promesso che sarei andata a Mongrando a conoscere il suo Tiago il prima possibile, ho pensato che, se io studiassi o riflettessi un po’su tutto quello che ho osservato e sperimentato da quando vivo in Europa, forse saprei cosa fare da grande.

Correzione: Nuccia e Piero Seggiaro e Gaia Farina

La canzone del mare (Irlanda, 2014)

Film ispirato al folklore irlandese, in particolare alla mitologia dei Selkies, creature simili alle foche che avevano la facoltà di togliersi la pelle e diventare donne o uomini bellissimi.
Due fratelli, Ben e Saoirse, vivono con il padre in un faro, nella parte più alta di una piccola isola. Il padre, un uomo desolato che non riesce a superare il dolore per la perdita della moglie, decide, di fronte alla possibilità di perdere la figlia più giovane, di mandare i suoi piccoli a vivere dalla nonna in città. Il piccolo Ben, nell’intento di tornare a casa con il suo cane Cu, si accorge che le storie che gli raccontava la sua mamma erano vere e che sua sorella è una Selkie, che muore lentamente per essersi allontanata dalla sua fonte di magia. Bellissima storia sull’amore e sui legami familiari, sulla difficoltà di superare la perdita degli essere cari e sull´importanza della capacità di gestire le proprie emozioni. Raccomandata per tutta la famiglia.

(Traduzione Vicky Nuñez / Correzione: Nuccia Boscchetto)


Ogni due settimane la Videomaker messicana Jazmín Camacho, nella rubrica FOTOGRAMAS ci fa partecipare alla sua grande passione – il cinema – e descrive dalla prospettiva della sua materia le sue impressioni recenti della scena cinematografica internazionale.

The African Doctor (Francia, 2016)

Bienvenue à Marly-Gomont è un film ispirato alla storia familiare del musicista Kamini, originario dello Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo). La storia si svolge negli anni settanta, Seyolo Zantoko è un migrante nativo di Kinshasa, neo laureato in medicina a Parigi. Il giorno della laurea compare un contadino di Marly-Gomont, un paesino della campagna francese, che è alla ricerca di un medico disposto a trasferirsi nel suo sperduto villaggio. Seyolo vede così l’opportunità di acquisire la tanto ambita cittadinanza francese, nonché la possibilità di portare in Francia la sua famiglia, anche se dovrà rifiutare l’incarico di medico personale dell’allora dittatore Mobutu, che gli è stato offerto.

Seyolo si mette in contatto con i famigliari per dar loro la notizia e spiegare che dovranno raggiungerlo in Francia ma loro, euforici, nonostante le spiegazioni di Seyolo, non capiscono che non andranno a Parigi bensì nella campagna francese … dove non c’è niente. Lo shock culturale che subiranno sia i nuovi arrivati sia i contadini della tranquilla Marly-Gomont, non abituati a convivere con migranti, tanto meno neri, sarà fortissimo.

Lo sforzo titanico di Seyolo per adattarsi ed essere accettato come medico e residente, coinvolge tutta la famiglia, a cui viene perfino vietato di parlare la propria lingua madre, il lingala. Il medico africano proibisce anche a sua figlia Sivi di giocare a calcio, la sua grande passione, e la obbliga a concentrarsi negli studi per dimostrare che “i neri non sono solo capaci di correre dietro a una palla”. Anne, la moglie, è respinta dalle altre madri del paese, le quali non le rivolgono la parola, così come fanno anche i venditori al mercato. Mentre Kamini, il figlio, è escluso dai compagni di scuola.

Al contrario a quello che si potrebbe pensare, non si tratta di un dramma, uno di quei film dove il panorama per i migranti è straziante. Julien Rambaldi, il regista, ha fatto di Bienvenue à Marly-Gomont una attraente commedia, nonostante il finale prevedibile. La tematica della immigrazione e del razzismo è esposta in modo morbido e incoraggiante. In un mondo dove i crimini causati dall’odio invadono il nostro quotidiano, è bello trovare questo tipo di film “oasi” che ci regalano un po’ di ottimismo.

(Traduzione Vicky Nuñez / Correzione: Nuccia Boscchetto)


Ogni due settimane la Videomaker messicana Jazmín Camacho, nella rubrica FOTOGRAMAS ci fa partecipare alla sua grande passione – il cinema – e descrive dalla prospettiva della sua materia le sue impressioni recenti della scena cinematografica internazionale.